Recensione su Il Sole 24ore: Fundraising, prima delle risorse ai partiti serve la fiducia degli elettori

Di seguito la recensione di Riccardo Ferrazza del libro  Come raccogliere fondi per la politica. Manuale di Fundraising e comunicazione per partiti, movimenti e candidati pubblicata il 1° febbraio 2018 su Il Sole 24ore dal titolo: “Fundraising, prima delle risorse ai partiti serve la fiducia degli elettori“.

«Affinché al cittadino/elettore sia chiara la Buona Causa perseguita dal candidato/partito/movimento è fondamentale porre molta cura nella stesura del programma elettorale. Nel fundraising politico è infatti la chiave per raccogliere fondi». Basta attingere a uno dei molti consigli contenuti in un manuale appena pubblicato da Rubettino (forse il primo nel suo genere: Raffaele Picilli e Marina Ripoli, Come raccogliere fondi per la politica) per rendersi conto di quale sia la distanza tra le pratiche dei nostri partiti e la teoria che si dovrebbe perseguire per assicurarsi un futuro fatto di finanziamenti privati. Perché quando si tratta di programmi elettorali vengono alla mente soprattutto le promesse dalle coperture incerte che inseguono gli elettori nella corsa al voto del 4 marzo.

Il manuale, «pratico, tecnico e concreto», si rivolge a un mondo, quello della politica, che vive la prima campagna elettorale senza poter più contare sul fondi pubblici. Aboliti per volere del governo di Enrico Letta con una legge (n.13 del 2014) che, si ricorda nel testo, «nel corso di quattro anni ci ha gradualmente portato a un sistema di finanziamento indiretto, privo di rimborsi elettorali, fondamentalmente di natura privata, basato sulle donazioni volontarie agevolate e il 2 per mille ai partiti». Un risveglio in una nuova dimensione in cui i partiti si muovono con difficoltà e ritardo: in pochi, fanno notare gli autori, «hanno preso consapevolezza della necessità di ricercare i fondi, mentre ancora meno sono state le realtà che hanno puntato su donazioni di tipo periodico».

«Improvvisarsi fundraiser nell’attuale contesto socio-economico e politico non è possibile». Ne sanno qualcosa i candidati di Forza Italia: in passto a versare soldi era il fondatore Silvio Berlusconi. Ora non più. Così ai candidati è stato chiesto di autofinanziarsi, in altri termini di arraggiarsi. E ai moduli per accettare la candidatura era allegato un impegno a versare al partito 30mila euro (lo ha raccontato Repubblica) con la possibilità di uno sponsor: un terzo che metta i soldi necessari.

Il primo grande ostacolo da superare non sono certo gli accorgimenti tecnici di cui pure c’è bisogno per assicurarsi l’autofinanziamento, ma la «sfiducia dei cittadini e la cattiva opinione che essi hanno nei confronti del rapporto tra politica e denaro». Da questo punto di vista un grave danno è stato causato dai tanti episodi di corruzione e malversazione di cui si sono resi protagonisti, anche in tempi assai recenti, i partiti, come ricordano le condanne inflitte per esempio allo storico leader della Lega Umberto Bossi o all’ex tesoriere della Margherita che hanno gestito i fondi destinati alle loro formazioni per fini personali. «I soggetti politici devono perciò lavorare molto per ricostruire la loro credibilità la loro reputazione, ristabilendo corrispondenza tra le parole e i fatti». Ecco il primo compito.

Una chiave di ripartenza è evitare gli errori del passato. A destra e a sinistra. Quando gli autori del manuale parlano dell’importanza di disporre di un database «per costruire la “macchina” del fundraising politico» viene in mente la gestione (e le polemiche) sugli elenchi di chi aveva votato alle primarie del Partito democratico ai tempi dell’incoronazione di Romano Prodi. Finiti chissà dove. Quando tra le fonti dell’autofinanziamento vengono citati i lasciti testamentari le cronache politiche ci ricordano la vicenda della casa di Montecarlo: ceduta da una nobildonna romana ad An nella persona dell’allora leader Gianfranco Fini e finita in una rete di riciclaggio di cui lo stesso ex presidente della Camera deve ora rispondere in tribunale.

Il manuale si chiude con un elenco che può tornare utile nei giorni restanti di campagna elettorale. «Venti consigli su come raccogliere, da subito, fondi». Si parte da «identificare la Buona causa» e si chiude con «Rinunciare a un donatore se necessario». «Ma se la politica non mantiene alta la sua reputazione, la sua credibilità e la sua integrità non c’è creatività» o tecnica che tenga. «L’elettore non è stupido». Speriamo.

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Agopress: Comunicare la politica ai cittadini. Questione di storytelling

Riporto di seguito la recensione del collega Luigi D’Alise di Agopress del libro Fundraising e comunicazione per la politica (Rubbettino Editore).

Come riavvicinare gli elettori ai loro rappresentanti. Tra fundraising e comunicazione. Le risposte, nel libro di Marina Ripoli e Raffaele Picilli

Il tema dei costi della politica è alla base della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni ed i partiti. La priorità è dunque ristabilire il rapporto di fiducia e legittimazione tra elettori ed eletti. E affinché questa occasione venga colta, la politica italiana dovrà riacquistare credibilità parlando il linguaggio della trasparenza. Cosa non semplice se non si agisce anche dal punto di vista della comunicazione, riuscendo a trasmettere bene e positivamente il messaggio, il programma, i valori e i tratti distintivi che differenziano il candidato-partito nel “mercato” politico.

E’ la sintesi di “Fundraising e comunicazione per la politica”, il volume scritto da Raffaele Picilli e Marina Ripoli per Rubbettino Editore, contenuta nell’introduzione di Roberto Race, segretario generale di Competere.Eu. Think tank, quest’ultimo, nato per elaborare e implementare politiche e pratiche per lo sviluppo sostenibile e che, con questo libro, presentato in anteprima ieri a Roma, inaugura la collana Competere, diretta dallo stesso Race e da Pietro Paganini.
Nelle duecento pagine, Picilli, esperto in tecniche di fundraising e people raising e Ripoli, giornalista specializzata in comunicazione politica, spiegano come il fundraising non sia pura e semplice raccolta fondi, ma un’attività strategica per i partiti e vitale per la sostenibilità finanziaria di un progetto politico, data la progressiva riduzione dei rimborsi elettorali entro il 2017.
Gli autori forniscono utili strumenti a chi voglia raccogliere fondi per sostenere la “buona politica”: dal candidato alle elezioni nazionali o locali al politico che intenda avviare campagne di sottoscrizione per progetti sociali.
Arricchisce il volume un’indagine qualitativa che raccoglie ventidue testimonianze tra esponenti politici, accademici e professionisti della comunicazione politica sullo stato dell’arte e le prospettive del fundraising nel nostro Paese.

Ma perché parlare di comunicazione politica in un libro sul fundraising? “Ci sono due ragioni – risponde Marina Ripoli – La prima si basa sulla convinzione che essa possa rappresentare un elemento fondamentale di riconnessione tra cittadini e mondo politico. Infatti, l’introduzione di attività strutturate di raccolta fondi e di mobilitazione dei volontari significa per i partiti e i movimenti politici italiani confrontarsi, e scontrarsi, con la sfiducia degli elettori verso le istituzioni. E solo una comunicazione della politica tesa alla costruzione di identità e senso condiviso può riaprire un canale di interlocuzione con i cittadini. La seconda motivazione riguarda l’anima più operativa della comunicazione politica, le cui tecniche e strategie fungono da base e sostegno per la realizzazione di una buona operazione di fundraising e people raising politico. Questi ultimi, immersi in uno scenario di campagna elettorale permanente, devono fare i conti con un sistema di comunicazione politica che mescola tradizione, multicanalità e multimedialità. Ne sono un esempio le campagne di Barack Obama, che attraverso evolute piattaforme web e di social networking hanno fatto dell’organizzazione dei volontari sul territorio una strategia vincente finalizzata a coinvolgere, mobilitare e raccogliere fondi”.

E’ ancora Ripoli a tracciare una breve storia della comunicazione politica. Dagli anni dell’immediato dopoguerra fino agli anni ’50, quando era centrata sui partiti politici, e il comportamento elettorale era stabile e di “appartenenza”, poiché rispecchiava una società strutturata dove le classi sociali erano rappresentate dai partiti, fino all’età moderna, che va dagli anni ’60 agli anni ’80, dove il legame di appartenenza tra partiti e cittadini inizia ad allentarsi, i comportamenti elettorali si fanno più mobili e la televisione diventa il canale principale di contatto fra i partiti e gli elettori. A partire dagli anni ‘90 si apre infine una fase, dove si fanno avanti interessi più molecolari e parcellizzati ed entra in piena crisi il circuito della rappresentanza. Il voto diventa “fluttuante” e la campagna elettorale permanente.  Dopo la seconda campagna di Obama, quella del 2012, si entra nella fase digitale, dove entrano in scena i Big Data e un nuovo contesto comunicativo, di interattività, di informazione e di nuovi mezzi di fruizione come i device.

STORYTELLING DELLA POLITICA
Una comunicazione politica efficace si muove lungo l’asse emozioni-razionalità, perché un messaggio è tanto più potente quanto più riesce a combinare elementi emotivi e cognitivi. L’organizzazione stessa della strategia dell’intera campagna elettorale può basarsi sui principi dello storytelling.
Un esempio recente, indicano gli autori, è la narrazione proposta dalle campagne di Matteo Renzi per le primarie 2012 e 2013. Prima rottamatore e successivamente innovatore, Renzi si oppone a un centrosinistra rappresentato come conservatore, autoreferenziale e che non riesce a vincere. Per superare questa impasse, egli propone delle nuove parole e una nuova narrazione. In seguito, eletto segretario nazionale indossa i panni dell’acceleratore, opponendo alla lentezza dell’establishment la rapidità delle proposte in un momento in cui viene avvertita l’urgenza di risolvere immediatamente i problemi.
Tra gli esempi di storytelling citati nel libro, il frame di Silvio Berlusconi improntato sull’esaltazione della storia personale e sull’eterna contrapposizione tra buoni (gli azzurri) e cattivi (i rossi).

COERENZA E ACCOUNTABILITY
I politici italiani, si sottolinea nel libro, nel corso degli ultimi anni si sono tuffati nel mondo del web con l’entusiasmo di chi ha pensato che bastasse esserci per avere un vantaggio competitivo in campagna elettorale. La corsa ai blog, agli account Twitter e alle pagine Facebook non ha però dato ancora i risultati sperati. Gli standard italiani sono ancora molto lontani dal modello americano. Spesso dopo le elezioni, siti web e profili social vengono abbandonati e non aggiornati.
“Sono questi comportamenti scorretti in Rete che minano la web reputation e non generano credibilità – ammoniscono gli autori – Il piano di comunicazione di una campagna elettorale dovrà declinare la strategia su diversi mezzi, stampa, radio, tv, web, social network, utilizzandoli tutti se possibile, a patto però di conoscerne i punti di forza e i punti di debolezza. Gli strumenti tradizional come canvassing (il porta a porta), comizigadgetmanifesti, restano fondamentali e vanno connessi con la strategia web. Il sito, realizzato in modo chiaro e accattivante, dev’essere funzionale al raggiungimento degli scopi stabiliti.  La pagina Facebook, l’account Twitter e tutti gli altri profili social del candidato vanno coordinati affinché siano percepiti come autentici e credibili. Il direct mailing va utilizzato in modo strategico e professionale attraverso database di contatti costruiti nel tempo e con coerenza, puntando a personalizzazione del messaggio, engagement e fidelizzazione“.

CAMPAINING E GOVERNING
“Oggi siamo immersi in un clima di campagna permanente dove il confine tra comunicazione politica e comunicazione elettorale è sfumato e incerto – aggiunge Ripoli – Da tempo assistiamo alla trasformazione del processo politico in un percorso ciclico, dove la fine di una campagna elettorale segna senza soluzione di continuità l’inizio della successiva. Campaining e governing si fondono e il risultato è che la dimensione relazionale della costruzione del consenso resta schiacciata sotto il peso della propaganda, e quindi ogni giorno viviamo lo spettacolo di una competizione politica non più incentrata su idee e programmi, ma del tutto spostata sul terreno del marketing elettorale“.
La logica della campagna permanente si fonde insomma con quella della comunicazione permanente. I politici sono infatti sottoposti alla interazione costante e alle continue sollecitazioni dei media, dei cittadini e degli influencer della rete, ai quali è necessario dare una risposta. Inoltre, il boom del fact checking, che controlla la veridicità delle affermazioni dei candidati e alimenta una cultura dei media attiva e costruttiva, rappresenta il segnale di un nuovo spirito critico che si sta sviluppando, di nuovi mezzi di controllo che si stanno affermando, e che disciplineranno sempre di più il dibattito politico.